VIOLENZE PSICOLOGICHE

01.09.2015 16:11

Ogni qual volta si pensa alla parola violenza tendiamo naturalmente a pensare ad una violenza fisica, ad un'aggressione al nostro corpo, ma non solo questa è una violenza, lo è anche la violenza psicologica.

Viviamo in un momento in cui è complicato sopportare la frustrazione. Faticosamente accettiamo ciò che non ci è gradito, ciò che fa vacillare la nostra autostima e che  ostacola il nostro benessere; in particolar modo nelle relazioni interpersonali in cui la sconfitta è male accettata e spesso neppure contemplata. Così un impedimento, la fine, o la possibile fine di una storia, vengono vissuti come un catastrofe. Dalla frustrazione, dall’incapacità di sopportare e affrontare gli abbandoni scaturiscono quei comportamenti che prendono il nome di violenze psicologiche.

Essendoci di fondo un’incapacità a tollerare le frustrazioni, le violenze psicologiche possono manifestarsi in contesti differenti, seguendo però le stesse dinamiche psicologiche. Nell’ambiente di lavoro infatti, può accadere che un lavoratore veda un collega come un possibile pericolo imminente per la sua persona e la carriera quindi tenderà a mettere in atto comportamenti volti a rimuovere o ad estromettere tale soggetto. La violenza psicologica in questo caso prende il nome di mobbing. Similmente, se in un gruppo di ragazzi, uno di essi viene visto come “elemento di rischio” per il gruppo stesso si troverà ad essere estromesso sviluppando il fenomeno del bullismo. Nel rapporto di coppia invece, vittima della persecuzione sarà chi rifiuta, lascia o comunque nega la felicità, portando il partner a diventare uno stalker. C’è da sottolineare però che non in tutti i conflitti e non tutti gli esseri umani che vivono delle frustrazioni sono inclini a determinare condotte persecutorie. Chi le fa è perché di fondo ha una personalità e un trascorso che gli impediscono di tollerare la frustrazione, sviluppando così delle condotte “patologiche”.

 La violenza verbale è in certe circostanze più avversa di quella fisica, di consueto infatti non è neppure immediatamente riconoscibile. La vittima non sa interpretare quello che le sta capitando, restando per lungo tempo turbata dagli assalti ricevuti. In alcuni casi può finire col ritenersi colpevole dell’accaduto andando poi a sviluppare dei modi per riparare. Visto che nella stragrande maggioranza dei casi le vittime non si rendono conto di subire un maltrattamento, il maltrattatore agirà anche nell’ambiente che circonda la vittima, facendola passare come una persona che ha una percezione della realtà alterata, il tutto in modo molto semplice. Agirà anche sul fatto che sia opportuno negare ciò a cui si è presenziato, se è accaduto in presenza di altri, che sia mai successo quello che invece è accaduto. La vittima spesso trova la realtà così talmente sgradevole da mettere delle barriere che le impediscono di vederla per quella che è. Solitamente la vittima teme il giudizio altrui, teme appunto di essere considerata matta o di essere incompresa da questo male impalpabile come la violenza psicologica. I lividi sono attestabili, le ferite derivanti da un attacco verbale troppo spesso vengono ignorate o interpretate nel modo sbagliato. Ciò comporta una grande complicazione da parte della vittima nel dover affrontare e denunciare quello che sta subendo. La violenza psicologica è sempre agita da una persona ben conosciuta dalla vittima, comportando implicazioni di natura affettiva, poiché viene a galla la frustrazione verso quella persona e, nello specifico, si traccia un’inabilità a rendersi conto come quella persona in precedenza amata, apprezzata o comunque stimata possa aver imboccato un cammino di violenza verso di lei. Tutti questi fattori rendono la vittima inerme, determinando l’inattuabilità ad una immediata reazione ai maltrattamenti subiti e l’incancrenirsi di uno stato da cui diventa difficile liberarsi. Chi compie una violenza psicologica è qualcuno che conosce molto bene la propria vittima, sa che punti spingere, sa cosa dire e come dirlo, sa come fare male in quanto sa quando agire. Le strategie che utilizza chi ha in mente di annientare un altro sono ambigue e tendono in primis ad anestetizzare la vittima per impedirle di reagire. L'aggressore fa giungere di solito feedback contrastanti, in quanto dice una cosa e ne ragiona un'altra, creando nella vittima uno stato di confusione e incapacità nel capire cosa sta succedendo. L’aggressore è una persona che butta sugli altri le proprie frustrazioni, eludendo così ogni onere e conflitto interiore.

Le violenze familiari sono molto comuni, qui il partner che subisce violenza non si ribella per paura di rovinare il rapporto che, anche se violento, assicura un’identità e uno status entro cui collocarsi. Va evidenziato che la violenza psicologica è la ragione di stati depressivi e, in casi estremi, anche di suicidi. La vittima non è in grado di chiedere aiuto, in quanto danneggiata dal male, dalla paura, dal timore di essere emarginata.  La violenza psicologica porta la vittima ad estraniarsi e a sospendere le proprie relazioni. L’isolamento e l’impossibilità di comunicare non fanno altro che amplificare il senso si smarrimento e di impotenza della vittima che troverà sempre più difficile uscire dalla propria condizione di sofferenza.  

La violenza psicologica è un fenomeno “circolare”, un po’ come un cane che si morde la coda in quanto le vittime di queste violenze divengono o sono state i tormentatori in altre situazioni relazionali. Accade infatti in alcuni casi, che non si rendano effettivamente conto della pericolosità e del deterioramento che possono provocare nell’altro. In particolare, il persecutore, opera allo scopo di proteggere la stabilità del proprio ambiente. Il disfacimento della vittima diventa quindi un’esigenza inevitabile.

Un caro saluto 

Silvia Rossi